III DOMENICA DI QUARESIMA (B)

III DOMENICA DI QUARESIMA (B)
Es 20,1 – 17 ; Dal Salmo 18 (19); 1 Cr 1,22 – 25 ;
GV 2, 13 – 25;

TEMA: Rinnovamento

• Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
È questa la prima sua pasqua pubblica. Poiché tre sono le Pasque pubbliche da lui vissute, si presume che la sua attività messianica sia durata appena tre anni.
Gesù va a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, essendo fedele osservante della legge di Mosè. Ogni legge va osservata ed obbliga sempre. La legge non obbliga quando è in contrasto con i dettami della coscienza, rettamente formata e saldamente ancorata alla volontà di Dio. In questo caso essendo la legge in evidente difformità con il volere di Dio, essa non obbliga, la sua non osservanza potrebbe anche causare il martirio. Cosa è infatti il martirio se non l’affermazione della superiorità della legge della coscienza per rapporto alla legge degli uomini? Il martirio è la proclamazione della libertà dell’uomo dinanzi alla propria coscienza, per la cui conservazione nella santità, si è disposti anche a lasciarsi togliere la vita del corpo.
Gesù ci insegna che ogni legge va osservata ed è in questa osservanza la santità della persona, purché quanto viene vissuto sia fatto con amore e per amore del Signore, che si riconosce come l’autore della norma e della legge. Questo non significa che si debba essere schiavi per rapporto alla legge, specie quella rituale. Gesù ci ha insegnato che in caso di grave necessità il Sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il Sabato; e così anche dicasi della Pasqua, che è per l’uomo e non l’uomo per la Pasqua. Quando entreremo in questa logica di amore, di obbedienza, di libertà, di necessità avremo capito perché la legge è pieno compimento dell’amore, amore di Dio, amore del prossimo; carità verso gli altri e carità verso se stessi.
Questa Pasqua è detta dei Giudei perché ormai, dopo la morte e la risurrezione di Gesù, è avvenuta la grande separazione e la Pasqua antica è stata superata e portata a compimento da Gesù. Questa Pasqua non è più la Pasqua, quella vera, questa rimane solo la Pasqua dei Giudei. La Pasqua dei cristiani non è quella che celebrano i Giudei, è invece quella che ha celebrato Cristo nel suo mistero di morte e di risurrezione e che la Chiesa vive ogni volta che celebra il mistero eucaristico del Signore.

• Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete.
La Pasqua, o meglio l’affluenza dei pellegrini a Gerusalemme, diveniva anche occasione di interscambio. Le necessità erano tante, ma anche gli approfittatori. Dobbiamo comprendere quanto avveniva a Gerusalemme. Dove c’è l’uomo lì c’è il commercio; dove ci sono molti uomini, lì c’è anche molto commercio, molto interscambio. Il sacro, la ritualità, dovrebbe però essere lasciata fuori da questo circuito. Invece sovente è proprio essa che viene investita in un modo preponderante, tanto da far dimenticare il vero significato di ciò che si sta vivendo. Il tempio di Gerusalemme era il luogo della presenza di Dio, lì il Signore aveva posto la sua gloria. Ora è divenuto un luogo di mercato.
Per la religione questo è un grave calo non solo di immagine, ma anche di significato. Da un rapporto santo con Dio si era passati ad un rapporto di interscambio tra gli uomini e per di più nel luogo più sacro di tutta la terra.

• Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: « Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato ».
Gesù non vuole che questo avvenga e con un gesto assai significativo, rovesciando cioè ogni cosa e scacciando tutti dal tempio, insegna ai contemporanei e a quanti avranno a cuore l’onore del Padre suo, che c’è anche un limite nel male, soprattutto c’è una decenza che bisogna sempre rispettare: l’onore del Padre suo deve essere tenuto sempre in grande considerazione e per nessuna ragione al mondo deve essere offuscato, messo in discussione, avvolto da scandalo o da altro.
Questo dovrebbe insegnare a noi tutti quel rispetto delle cose sante, quella santa riverenza dei luoghi sacri, talvolta assai vilipesi o tenuti in nessuna considerazione. Quando questo accade è il segno palese che è Dio che è tenuto in scarsa considerazione. L’atteggiamento esteriore tradisce l’intimo, quello che c’è in ciascuno di noi e Gesù se ne dispiace. Lui vede che l’onore del Padre suo non è per nulla amato e desiderato e per questo interviene, richiamando il senso che deve rivestire per ciascuno il luogo sacro, dove abita Dio di una sua particolare presenza tra gli uomini.
La casa di Dio è casa di preghiera, di adorazione, di silenzio, di ascolto del Signore, di incontro spirituale con lui. Trasformarla in un luogo di chiasso, di frastuono, di commercio, di interscambio, di esteriorità e cose di questo genere è peccato grave contro l’onore del Signore e la sua gloria. Bisogna porvi rimedio e quanti sono preposti per conservare la gloria di Dio nella sua casa devono intervenire, anche con energia e con fermezza, perché ci si ricordi che il tempio è il luogo della presenza del Signore.
Casa di preghiera significa luogo di elevazione della mente e del cuore, di liberazione dalle cose di questo mondo, di distacco da tutto ciò che è terreno per immergersi nel divino, per lasciarsi da Dio trasformare, per divenire a sua immagine, per contemplarlo nella sua essenza di verità e di santità, perché quando si ritorna nel mondo ci si presenti come trasformati dall’incontro con Dio. Ogni incontro con il Signore dovrebbe produrre lo stesso effetto che aveva prodotto in Mosè lo stare sul monte assieme al suo Signore. Quando egli è ridisceso, rifletteva sul suo volto la gloria del Signore, la sua luce. Quando il cristiano esce dal tempio del Signore deve sempre riflettere la luce della sua verità, la forza della sua carità, l’attrazione della sua speranza. Nella casa di Dio egli si è incontrato con il Signore, il Signore si è incontrato con lui, da questo incontro la trasformazione dell’uomo, visibile e percepibile da quanti ci vedono, ci sentono, vivono al nostro fianco.

• I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.
Sappiamo ora perché Gesù ha compiuto il gesto della purificazione del tempio. In lui c’era uno zelo assai forte per la gloria del Padre suo e questo zelo lo divorava, lo consumava, bruciava nell’intimo del suo cuore, il suo spirito era tutto incendiato dal fuoco divino che gli ardeva dentro.
D’altronde, se non si vive un grande zelo per la gloria del Signore, non si riesce neanche più a vedere cosa offende Dio e lo rende irriconoscibile agli occhi del mondo. Spesso ci si imbatte in una ignavia e in una abulia così forte per la casa del Signore che tradisce e manifesta l’assoluta carenza di zelo e di amore per la gloria del Signore. Una chiesa pulita, linda, armoniosa, ordinata, ben messa, anche se povera e umile, manifesta l’amore per il Signore ed è segno che Dio è nel cuore di chi si interessa per conservare, mantenere ed aumentare la sua gloria in mezzo agli uomini.
Lo zelo dice anche che attorno al tempio deve regnare solo spazio per il Signore e quindi dovrebbe essere abolito tutto quanto non favorisce l’onore di Dio, quanto lo turba, o lo fa passare in secondo ordine. Questo non deve significare che l’uomo debba essere assorbito dal divino e dal celeste, egli può attorno al tempio condurre una vita ben ordinata e possono esservi tutti quei servizi che aiutano l’uomo ad entrare nello spirito della preghiera e dell’elevazione; ciò che è disdicevole è sempre l’uso di Dio ai fini dell’uomo, fosse anche quello di qualche piccolo guadagno, perpetrato a discapito della gloria di Dio.
Sappiamo dal Vangelo che Gesù mai si oppose a che venissero gettate offerte nel tesoro del tempio. Anzi lodò la vedova povera che vi mise tutto quanto aveva per vivere. Sappiamo che lui stesso ordinò a Pietro di pagare la tassa per il tempio per entrambi, pur non essendo egli obbligato in quanto Figlio del Signore del tempio. Ciò che Gesù non vuole è che attorno al tempio fioriscano cose che fanno dimenticare Dio o sono a totale beneficio dell’uomo a discapito dell’onore che merita e che spetta al Signore Dio nostro.

• Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: « Quale segno ci mostri per fare queste cose?».
Gesù ancora non si era manifestato. È questa la prima volta che lui agisce in pubblico a Gerusalemme e per di più nella sacralità e solennità del tempio e della festa di Pasqua. I Giudei giudicano solenne il suo gesto e in qualche modo lo reputato profetico e con ciò stesso riconoscono Gesù come profeta inviato da Dio.
Uno che si permette si scacciare i venditori dal tempio e di rovesciare i tavoli dei cambiavalute, e per di più essendo sconosciuto, se lo fa sicuramente è rivestito di una forza che gli viene dall’Alto, altrimenti nessuno mai avrebbe osato tanto. Per questo gli chiedono che mostri loro un segno di verità, per stabilire la portata della sua autorità.
Il segno, nella Scrittura, è accreditamento da parte di Dio; chi viene da Dio deve fare i segni di Dio, deve attestare attraverso delle opere simili a quelle fatte da Mosè che Dio è con lui. Se Gesù non fa segni, non compie opere prodigiose, Dio non è con lui e quanto egli opera è semplicemente da ascriversi alla sua umanità, ma in questo caso non può egli pretendere che qualcuno creda in lui. Chi viene da Dio, deve compiere le opere di Dio e non basta rovesciare un tavolo o prendere delle cordicelle in mano per attestare l’origine divina dei suoi gesti. Questo tutti potrebbero farlo con una forte dose di coraggio, invece i segni nessun uomo potrà mai farli, se li fa, egli certamente viene da Dio. Questo il significato della domanda e della richiesta dei Giudei.

• Rispose loro Gesù: « Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».
Gesù dona il segno, l’unico segno possibile, inconfondibile, il segno che nessun uomo avrebbe potuto mai dare. Ma dona un segno assai misterioso, enigmatico. Essi invece prendono alla lettera le parole di Gesù. Il tempio era lo splendore di Gerusalemme. Loro avrebbero dovuto distruggerlo e lui lo avrebbe riedificato in tre giorni. Da qui anche la loro obiezione circa la difficoltà, o meglio l’impossibilità di un tale segno.

• Gli dissero allora i Giudei: « Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere? ».
Questo segno non può essere dato; è umanamente impossibile riedificare in tre giorni un tempio la cui costruzione è durata per ben quarantasei anni. La conclusione è assai semplice. Se tu, Gesù, non sei capace di dare un segno, non sei neanche un profeta.
A volerci ragionare su, il segno di Dio è opera di Dio, quindi non dell’uomo; se si chiede un segno di Dio, se si dice quale sarà il segno di Dio, è giusto che si metta anche alla prova colui che pretende di dare di tali segni. Se è Dio che opera, per lui nulla è impossibile. Come dal nulla egli ha fatto il cielo e la terra in sei giorni, questa la fede dei Giudei, avrebbe anche potuto in tre giorni edificare, o riedificare il tempio di Gerusalemme.
Ma questo ragionamento comporta una presa di posizione secondo la fede, ma è proprio la fede che manca nei Giudei; possiamo senz’altro affermare che per loro il segno è semplicemente un pretesto; essi non vogliono essere disturbati da nessuno e quindi mettono tutti nella difficoltà, ne ostacolano il cammino, perché possano continuare indisturbati la loro vita religiosa che è senza Dio e senza l’uomo.

• Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Gesù in verità non parlava del tempio materiale di Gerusalemme, parlava del tempio del suo corpo. Egli ha compiuto quanto aveva promesso. Loro il tempio lo hanno distrutto e lui lo ha ricostruito in tre giorni. La risurrezione è il segno dei segni, perché solo Dio e chi è accreditato da lui avrebbe potuto compiere un simile prodigio, che ha sconvolto il cielo e la terra, più che se fosse stato riedificato in soli tre giorni il tempio di Gerusalemme. Il corpo di Gesù è vero tempio di Dio, luogo mirabile e unico della presenza del Signore. Più che l’uomo, più che il tempio, Gesù nella sua persona è Dio e quindi presenza viva di Dio in mezzo al suo popolo e non soltanto presenza spirituale di Dio nel suo corpo. Questo deve essere detto per ben comprendere le parole di Gesù. Egli veramente parlava del tempio, perché il suo corpo è vero tempio di Dio. Da notare ancora che Gesù parla di distruzione del suo tempio ed in verità la croce è la distruzione del tempio di Gesù; il suo corpo fu veramente distrutto e messo anche nel sepolcro e dal sepolcro il Signore lo riedificò, proprio in tre giorni come aveva detto. Così egli ha mantenuto la parola, ha dato il segno che essi cercavano; solo che ad esso non è corrisposta la nascita della fede nel loro cuore e non poteva nascere la fede per un semplicissimo motivo, perché essi non vedono la verità nell’opera di Gesù e non vedendola in un gesto così semplice, non possono neanche vederla in un gesto che è il mistero dei misteri e l’arcano degli arcani. Per capirci. Dio quando agisce, offre sempre la possibilità razionale e del cuore a chi assiste alla sua opera perché si possa convertire, accogliendo la parola di salvezza che è contenuta nell’azione del suo messaggero. Chi assiste all’opera di Dio deve avere buona volontà, purezza di cuore, semplicità di animo, desiderio di verità, anelito di conoscenza più forte, di più grande saggezza. Se l’azione compiuta da Dio - e Gesù aveva dato un grande segno della sua origine divina; aveva purificato il tempio e gli aveva dato una dimensione di preghiera e di sacralità, che esso aveva perduto a causa della profanazione ad opera di quanti vendevano e compravano nella casa del Signore - non viene capita, viene fraintesa, la si vuole ignorare, soprattutto non si legge in essa la verità di salvezza, significa semplicemente che c’è chiusura del cuore e quindi neanche un segno portentoso come la riedificazione del suo corpo in tre giorni avrebbe potuto produrre una conversione del loro cuore.
Quando si lasciano le piccole cose, quando attraverso la quotidianità dell’esistenza non si arriva alla fede, per partito preso e per cattiva coscienza, inutile sperare nelle grandi cose. Dio le grandi cose le fa ugualmente, perché deve farle, perché la storia deve essere condotta nella salvezza, ma non per questo ci sarà una conversione di chi precedentemente ha negato l’origine soprannaturale di quanto il Signore tramite il suo profeta, o il suo inviato, ha voluto compiere per invitare alla conversione e alla salvezza.

• Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
I discepoli di Gesù neanche hanno compreso le sue parole; d’altronde non era ancora possibile penetrarne tutto il significato. A suo tempo però le comprendono, se ne ricordano, si aprono alla fede, leggono le opere di Gesù e le sue parole alla luce della sapienza che lo Spirito, disceso su di loro, crea nella loro vita.
Ma anche Gesù lo dirà. Lo Spirito ha la missione di ricordare quanto Gesù ha detto, fatto, ed insegnato; di farne comprendere a pieno il significato, secondo la verità che l’opera o la parola portava in sé, ma che all’istante del suo compimento non era possibile in alcun modo comprendere. Questo ci spiega come i discepoli non abbiano creato la fede nel Maestro Gesù; è Gesù invece che ha creato e formato la fede in lui attraverso quella vita pubblica di tre anni che lo Spirito del Signore ricordava loro di volta in volta, dandone anche il significato di verità, per la salvezza e la conversione dei cuori.
Perché gli Apostoli credono nella Scrittura? Perché la Scrittura parlava della morte e della risurrezione del Servo del Signore e Gesù è il servo di Dio. Credono anche alla parola di Gesù, detta in questa circostanza della richiesta di un segno, perché lo Spirito Santo la ricorda loro e ne dona l’esatto contenuto di verità.

• Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome.
Se alcuni si rifiutano di credere e non sanno cogliere in ciò che Gesù compie il dito di Dio, altri invece, vedendo Gesù operare, si aprono alla fede nel suo nome. Per l’evangelista Giovanni la fede nel nome di Gesù è una fede post-pasquale, una fede che conosce il mistero di Gesù e lo accoglie.
Per quanti invece a Gerusalemme credono nel nome di Gesù, significa semplicemente che loro vedono Gesù come un inviato da Dio, un suo particolare strumento di conversione e per questo si aprono alla fede, accolgono cioè le parole di verità che promanano dalla sua bocca.
Il segno dona consistenza alla parola; quanti si scagliano contro i segni, si scagliano anche contro la consistenza della parola. La parola è viva, efficace, creatrice ed il segno la rende veramente tale. Oggi si fa una grande confusione circa i segni, non li si vorrebbero, li si vorrebbero cancellati, si ha paura di essi, vengono giudicati male, si vive nei loro riguardi sempre un clima di sospetto. Questo perché non si riesce a cogliere la verità che è insita nel segno e finché il segno è separato dalla verità, esso sarà sempre guardato con sospetto, da chi la verità non vuole accogliere, o si rifiuta categoricamente di scrutare la storia ed operare quel sano discernimento necessario e utile per cogliere la verità di Dio contenuta nel segno.
Chi ha paura del segno, ha paura della verità, chi ha paura della verità, ha paura di Dio, chi ha paura di Dio ha paura anche dell’uomo di Dio e quindi ne rigetta il segno, rigettando assieme ad esso la verità che Dio vi aveva posto perché l’uomo accogliendola, entrasse in un cammino di conversione e di fede nella sua divina parola.

• Ma lui, Gesù, però non si fidava di loro, perché conosceva tutti
Gesù scruta il cuore degli uomini, di chi si è convertito, di chi ha creduto, di chi non si è convertito pur avendo visto e di chi non ha creduto. Conoscendo il cuore dell’uomo e sapendo della sua inconsistenza e volubilità egli non può costruire assieme a loro il regno di Dio, per questo egli non si confida. Sa che se avesse manifestato tutta la sua verità lo avrebbero subito tradito o rinnegato, o abbandonato, o lasciato.
Ancora Gesù non può dare loro una parola definitiva, di scelta assoluta; deve camminare insieme con loro per cercare di condurli su una strada buona, ma deve agire con loro con somma prudenza, con quella saggezza soprannaturale che gli vieta ogni parola fuori tempo, ogni azione non appropriata al momento e alla loro condizione religiosa o semplicemente di fede ancora incipiente.
Questa di Gesù è regola pastorale sapientissima; conoscere l’altro e sapere che il suo cammino è solo all’inizio e che ancora la sua fede non è stata provata al crogiolo della sofferenza, o anche del dileggio o dell’insulto, o semplicemente all’usura del tempo, del lungo tempo, che libera la fede dall’entusiasmo e la rende stabile nel cuore, nell’intelligenza e nell’anima, fa’ sì che si agisce alla maniera di Gesù, con semplicità, con amore, ma anche con saggezza e prudenza, con quel santo distacco che permette a Gesù di essere l’uomo libero anche dinanzi a quelli che credono, hanno creduto, o crederanno nel suo nome.

• e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell’ uomo.
Questo secondo capitolo termina con una affermazione sulla persona di Gesù. Neanche i profeti sapevano quanto c’era nell’uomo; lo sapevano se il Signore lo rivelava loro. Gesù invece possiede il dono della lettura del cuore ma lo possiede in modo abituale, perenne. Egli vede il cuore dell’uomo, perché nel cuore vi abita, risiede.
La sua conoscenza è perfetta, è da se stesso; egli non ha bisogno che qualcuno gli parli, gli dica qualcosa dell’altro. Lo abbiamo già sperimentato con Natanaele. Egli lo aveva visto sotto il fico, ma era già penetrato nel suo cuore e sapeva che in esso non c’era falsità.
La lettura del cuore è dono che Dio concede solo a pochi ed è un dono che deve essere sempre esercitato sotto la guida del Signore, quindi in perenne dipendenza dalla sua volontà. Questo perché la lettura del cuore entra nella coscienza della persona ed in essa nessuno vi può sostare se non Dio solo e Dio vi sosta solo per motivi di salvezza, di redenzione, attraverso i suoi ministri, quando egli lo crede opportuno e per quel tempo in cui è necessario che questo avvenga.
La lettura del cuore non è pertanto grazia abituale; è grazia attuale, anche se come grazia in se stessa è abituale per la persona cui il Signore ha fatto questo straordinario dono, il suo esercizio è sempre grazia attuale. Con questa distinzione teologica è facile smascherare i falsi profeti dai veri. I Veri profeti leggono se Dio apre la porta del cuore altrui, i falsi invece leggono sempre, ma essi in verità non leggono il cuore, perché il cuore da Dio per loro non è stato aperto e quindi essi mentono, o fingono di dire la verità.
La lettura del cuore non si chiede a Dio; esso è un dono gratuito e libero da parte del Signore. A Dio si chiede il dono della prudenza, della saggezza, della scienza che è orientamento santo con gli uomini nella storia al fine di operare in mezzo a loro solo la salvezza nella parola e nel nome di Gesù Signore.

Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere
La distruzione del tempio di Gerusalemme era una vera catastrofe per il popolo del Signore. Essa era il segno che il Signore aveva abbandonato i figli di Israele. Così Ezechiele descrive l'abbandono che il Signore fa del suo tempio di Gerusalemme: "Io guardavo, ed ecco, sul firmamento che stava sopra il capo dei cherubini, vidi come una pietra di zaffìro e al di sopra appariva qualcosa che aveva la forma di un trono. La gloria del Signore si alzò sopra il cherubino verso la soglia del tempio e il tempio fu riempito dalla nube e il cortile fu pieno dello splendore della gloria del Signore. Il fragore delle ali dei cherubini giungeva fino al cortile esterno, come la voce di Dio onnipotente quando parla. La gloria del Signore uscì dalla soglia del tempio e si fermò sui cherubini. I cherubini spiegarono le ali e si sollevarono da terra sotto i miei occhi; anche le ruote si alzarono con loro e si fermarono all'ingresso della porta orientale del tempio del Signore, mentre la gloria del Dio d'Israele era in alto su di loro. Erano i medesimi esseri che io avevo visto sotto il Dio d'Israele lungo il fiume Chebar e riconobbi che erano cherubini. Ciascuno aveva quattro aspetti e ciascuno quattro ali e qualcosa simile a mani d'uomo sotto le ali. Il loro aspetto era il medesimo che avevo visto lungo il fiume Chebar. Ciascuno di loro avanzava diritto davanti a sé" (Cfr Ez 10,1-22). È un momento di esilio, fame, peste, spada, distruzione.
Anche alla morte di Gesù, il Signore abbandona il tempio di Gerusalemme. D'ora in poi, sarà Gesù il vero, il vivente, il santo tempio del Signore: "A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito. Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!»" (Mt 27,45-54). Dio abita in Cristo Gesù e nel suo corpo mistico, corpo vivente, santo. Corpo che è sparso nelle città degli uomini, nelle loro stesse case, nelle fabbriche, per i campi, sui monti, per le valli. Corpo dalla presenza universale.
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo.
Gesù purifica il tempio di Gerusalemme. I Giudei gli chiedono un segno che attesti la sua missione di vero profeta del Signore. Eccolo: voi distruggete questo tempio ed io in tre giorni lo farò risorgere. Loro non comprendono. Leggono materialmente le parole di Gesù, Manca loro la vera lettura: quella spirituale. Questa verrà dopo.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci questa lettura spirituale.
Spunti di riflessione:

- La domanda che dovrebbe accompagnarci verso Pasqua è: abbiamo intuito qualcosa della messianicità di Gesù? Comincia ad essere chiaro il tempio verso cui lui ci conduce? Abbiamo scoperto dove abita sul serio? - Che tipo di culto offro a Dio? «In spirito e in verità»? Vedo il tempio come un valore assoluto, o riconosco che Dio abita, soprattutto, nei poveri, nella giustizia e l´amore?
- Sono capace di fidarmi di Dio completamente in un atto di fede o chiedo sempre dei segni?
- Mi accontento di un culto esterno o cerco di offrire a Dio il culto della mia obbedienza nella quotidianità della vita?
- Chi è Gesù per me? Sono cosciente che solo in Lui e per mezzo di lui è possibile incontrare Dio?
- Come rinnoviamo il nostro incontro con Dio? E´ mescolato con molti elementi di mercato, quando pensiamo che possiamo comprare Dio con le nostre preghiere e le nostre buone azioni?
- Da che cosa ci libererebbe Gesù perché il nostro incontro con Dio possa essere sincero e profondo?
- Siamo di quelli che credono, perché vedono un miracolo? Gesù si può fidare di noi? Della nostra fede e fedeltà a lui? Perché, sì? Perché, no?